S e n z a s c a m p o !

Una cronaca dell'incredulità


Copyright © Sandra de Sorrisi 19/10/39 - Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata - Inoltro





G. si era sistemato nella nuova casa: solo una camera ed una cucina, ma almeno aveva trovato rifugio in uno sperduto paesino di montagna e lì, in quella landa che gli sembrava il manto grigio e corrugato di un enorme elefante, avrebbe potuto sentirsi sicuro e sperare di vivere tranquillo almeno per un po'. Loro non sarebbero arrivati tanto presto, pensava.

Si rinfrescò e scese in piazza entrando nel negozio di alimentari per far scorta di cibo. "Che si dice? Loro arriveranno presto?" chiese infine alla negoziante, dopo aver fatto gli acquisti ed un po' di conversazione fino a quel momento su cose di cui non gli importava nulla.

"Loro chi?" domandò la donna.

La risposta sorpresa da parte di lei lo rassicurò moltissimo: se la donna non capiva voleva dire che lì poteva essere davvero al sicuro, perciò rispose con noncuranza: "Oh, nulla di importante." Salutò ed uscì, finalmente sereno dopo mesi.

E così la settimana successiva mangiò e dormì regolarmente, si lavò, pettinò e rase con cura ogni giorno, come non faceva da tempo. Aveva di nuovo un aspetto normale. Sistemò addirittura delle piantine sul piccolo balcone e si sorprese a canticchiare allegro sotto la doccia. Non che si sentisse davvero al sicuro, sapeva bene che non ci sarebbe stato scampo, ma decise di godersi quella illusione di normalità il più a lungo possibile.

Aprì una delle casse, dove aveva condensato la sua vita trascorsa: foto, libri, dischi, oggetti raccolti in oltre cinquant'anni, abiti, scarpe, qualche pentola e oggetti da cucina. Ne trasse l'occorrente per cucinare e preparare il tavolo per il pranzo. Finito di mangiare, riportò in vita dalla cassa un libro ed un quaderno, una penna e gli occhiali per leggere ed accomodò tutto sul tavolo in cucina. Lesse, scrisse, riposò.

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I gerani alla finestra avevano attecchito e qualche bocciolo fioriva già. G. avrebbe voluto essere come quelle piante che tornavano a nuova vita, ma per lui non era così semplice mettere di nuovo radici. Neppure lo voleva, in realtà. Sapeva di essere da tempo un profugo, ripetutamente lontano da ogni suo riferimento conosciuto, solo e senza più affetti. Ma si sentiva comunque fortunato, perché fino ad allora era riuscito a cogliere dei segnali che gli erano valsi la vita. Ci sarebbe riuscito ancora? Dopo le prime settimane di euforia tornò a domandarsi quanto vantaggio avesse davvero su di loro e decise di organizzarsi da subito per ogni eventualità.

Come prima cosa, dopo averle riordinate, rimise tutte le sue cose nelle casse, lasciando fuori solo il necessario per vivere ed un paio di libri che voleva ancora leggere. Regalò i gerani rinati alla vicina di casa, con la scusa di non sentirsi in fondo portato per le piante. Poi cominciò a montare dei rinforzi alle chiusure di porte e finestre. Fece una discreta scorta di viveri e bevande, per una autonomia di almeno un mese. E si impose di rimanere calmo.

Vi furono giorni di pioggia incessante e non uscì di casa. Poi perse l'abitudine di allontanarsi dal suo buco e lo fece sempre meno. Nel paese gli abitanti si dimostravano via via più diffidenti nei suoi confronti, cominciavano a cogliere in lui segnali di nervosismo e tensione e non sapendo spiegarsene il motivo ne conclusero che era un pazzo od aveva qualcosa da nascondere. Finirono tutti per evitarlo. A G. la cosa non sorprese nè dispiacque affatto: non erano in fondo anche loro inconsapevoli ed insensibili come gli altri che aveva incontrato sul suo cammino?

Presto, come macchie d'olio, si sarebbero pure riconosciuti ed uniti al minimo contatto. Era lui la sostanza estranea che cercava scampo. Fino a quando l'avrebbe trovato?

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Accadde tutto in una notte. G. dormiva, di solito, mantenendo i sensi in guardia. Perciò era stremato dalla stanchezza e proprio quella notte finì per sprofondare in un sonno pesante. Sognò di trovarsi in una navicella spaziale. Vedeva la Terra dall'esterno, così come tante volte l'aveva vista ritratta nella foto dal satellite che teneva sempre con sè, come ultimo affetto rimastogli. Provò infatti un moto di tenerezza verso quel pianeta azzurro. Nel sogno, in un ritorno lungo e lento a terra, si avvicinava al Pianeta fino al punto in cui li potè vedere: umani in così gran numero, così pressati gli uni agli altri da formare un'immensa chiazza, sempre più grande, sempre più compatta, che tutto ricopriva, tutto soffocava, tutto schiacciava.

La Terra era completamente in preda ad una miriade di corpi umani che si strattonavano l'un l'altro, che urlando le grida più feroci la strappavano a brandelli. Un boato lo svegliò da quel sonno profondo ed un tremore tutt'intorno, come di un terremoto e di cento tuoni insieme, gli fece capire di essere ormai giunto alla sua ultima ora: loro erano qui e lui era rimasto sorpreso ed in trappola.

In pochi secondi dimenticò ogni piano stabilito e fu subito in strada, dove un vento caldo stava spingendo e facendo volare carte, cartoni, buste di plastica, pezzi di intonaco, insegne di negozi, pneumatici, bottiglie, lattine, secchi, pezzi di stoffa, cappelli ... Ormai era un turbinio e tutto il paese era in strada, urlando dalla paura, con un'unica domanda negli occhi: cosa succede? Cos'è questo rumore che s'avvicina?


G. lo sapeva bene ma sapeva che neppure ora, se lo avesse detto, gli avrebbero creduto. Era la folla, era la popolazione del pianeta cresciuta a dismisura e che continuava a crescere ancora, che occupava sempre più spazio, che si dilatava e divorava tutto, espandendosi con mille tentacoli, che cercava materia prima per nutrire la sua fame insaziabile, non più contenibile. Era un enorme essere fatto di migliaia di milioni di corpi. A guardarlo, non vedevi più occhi nasi bocche mani gambe piedi pance spalle corpi; non vedevi più volti, pelle o capelli di diversa carnagione, fattezze o colore. Ogni identità era annullata, ogni individualità era perduta. Era un gigantesco informe organismo, che si dilatava ad un ritmo sempre più rapido: quando lo sentivi arrivare era troppo tardi, ti colpiva come un maglio unico e compatto.

G. ebbe un estremo moto di difesa, cercò di correre, corse, desiderando di trovarsi il più lontano possibile, e con lui stavolta, l'unica volta in cui si trovarono concordi ed uniti, correva tutto il paese. Fu proprio il gruppo umano del paese, però, pur con il suo piccolo corpo, a far da collante, a creare l'estremità del lungo braccio della moltitudine che in un attimo raggiunse G. lo afferrò e lo travolse: i suoi abiti si lacerarono insieme ad ogni fibra del suo corpo che venne assorbito, diventando nutrimento di quella cosa, così come tutto ciò che essa incontrava. G. riconobbe il suo sogno nella realtà, in cui ogni essere era vittima e carnefice, era parte e nutrimento di quella sostanza gelatinosa che erano i corpi fusi, che come lava scivolava lungo la terra, tutto divorando e tutto annullando.

L'ultima cosa che G. vide fu un cielo di fogli che volavano, tra i quali riconobbe chissà come le pagine del suo libro preferito, che aveva messo insieme alle foto ed ai dischi più cari in fondo ad una cassa.







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