LA QUALITÀ COMUNITARIA DEL PUBBLICO IMPIEGO


In un qualsiasi degno sistema giuridico, il termine "pubblico" non può non individuare un bene, materiale od immateriale, accessibile ad ogni persona per essere curato e goduto da ognuno. Contr'altare di ciò ch'è privato.

Quanto il diritto qualifica come "pubblico" non può essere concesso in modo definitivo ad alcuno in particolare, pena la decadenza della sua stessa qualità giuridica. Per questa ragione (non solo legale ma a norma di ogni buon senso, filosofia e logica) il corposo bene degli impieghi, poteri e redditi del nucleo centrale, della Repubblica, il noto impiego pubblico, non può essere assegnato senza un prestabilito limite di tempo e nei fatti appartenere a qualcuno bensì va periodicamente redistribuito. Così che rimanga al servizio, godimento e cura della collettività.

Come è potuto dunque accadere che la popolazione abbia ceduto a singoli individui di fatto la proprietà esclusiva di un determinato bene pubblico quale è appunto ogni singolo ruolo del pubblico impiego? Non avrebbe la società dovuto proteggere questi suoi beni primari? Non è essa invece andata contro ogni suo interesse, perfino esercitando un'azione al di là dei suoi stessi poteri, poiché un complessivo bene collettivo, così importante come l'intero potere funzionale della Repubblica, non poteva essere ceduto, pena il ridursi di quest'ultima a res privata?

Ed ancora: qualsiasi governo, delegato da un popolo a fare i suoi interessi collettivi, prima di cedere a vita un impiego, un potere, un reddito della Repubblica, non avrebbe dovuto interpellare quel suo stesso popolo davanti ad un atto che avrebbe così profondamente de-qualificato e ricondotto all'indietro l'intero Paese? I vari governi che si sono succeduti nella storia della Repubblica non avrebbero dovuto porre un sì ponderoso e pregno quesito ai loro rappresentati, prima di permettersi qualsiasi azione deliberativa in proposito? Di fatto tutto ciò mai avvenne.

Il perché inizia a chiarirsi risalendo ai primi momenti della Repubblica Italiana, quando già sulle pagine dei lavori preparatori della Costituzione leggiamo che "[gli articoli] non innovano nè infirmano nulla di ciò che è stata finora la prassi del reclutamento degli impiegati pubblici e privati". Riferendosi con ciò, per quanto qui trattato, al concorso per accedere agli uffici della centralità. Non si fa alcun riferimento alla durata temporale dell'impiego ma si riprende pari pari il precedente sistema statale, monarchico, in cui l'assegnazione a vita dei ruoli della PA creava una casta di carrieristi in vario modo e misura privilegiati rispetto agli italiani comuni.

In effetti nella società pre-repubblicana l'attività svolta dai lavoratori assunti nello stato non è un compito genuino e libero come qualsiasi altro quanto la realizzazione concreta e fedele di ciò che il monarca e sua corte pensano: gli statali sono il braccio, lo stato è la mente. Il fulcro del rapporto che li lega è una interessata fedeltà reciproca: in cambio del cieco, muto, sordo e mentalmente atrofico contributo del lavoratore statale, lo stato gli assicura un impiego stabile e gli promette una carriera. Solo così infatti una centralità tiranna, che mai si rinnova, è in grado di garantirsi una cerchia di obbedienti servitori, fidati perché eterni, immutabili.

Questo legame caratterizza il rapporto tra lo stato monarchico ed il dipendente statale sin dalla sua origine. E ripercorrendo la nostra storia, dalla Legge Cavour del 1853, al fascismo, alle riforme degli anni '50 ed '80, fino alle numerose riforme degli anni '90, per giungere ad oggi, in tutti i casi le successive leggi sono sempre rimaste attentissime a non cambiare la sostanza del rapporto. Lo statale permane acritico, docile e fermo strumento di un escludente potere centrale ... che però cessò di esistere con la fine della monarchia e l'avvento della Repubblica.

Proprio con il subentro di questa si sarebbe dovuta affermare una concreta e generale partecipazione democratica. Il concetto di Repubblica coincide infatti massimamente con quello di una società/comunità che si autogestisce, autogoverna ed autorinnova in continuazione per il tramite di una estesa partecipazione popolare che si esprime innanzitutto in ambito esecutivo, per un iniziale apprendimento dei modi del vivere comune, e poi, per i migliori, nel più impegnativo ambito deliberativo. Com'è, dunque, che tale estesa partecipazione ancora oggi invece manca, così come ancora manca la consapevolezza della pregna essenza e struttura di una moderna centralità pubblica?

Purtroppo nei frenetici giorni della nascita della Repubblica non fu possibile, date le vitali urgenze di quei giorni, sviluppare queste riflessioni. Vedendo scorrere i filmati dell'epoca è evidente la condizione di estrema precarietà che il Paese doveva innanzitutto risolvere. Una volta superate le emergenze si sarebbe potuto e dovuto, allora sì, affrontare con decisione questi temi. Ma l'abietta letargìa cerebrale da indebito privilegio, che aveva caratterizzato fin dalla nascita i carrieristi statali, impedì l'ascolto delle necessità della giovane Repubblica.

Coloro che, per titoli ed incarichi, avrebbero dovuto trainare in avanti e mantenere giusta la società, prima di altri coloro che occupavano un ruolo di professore universitario (i non per nulla noti come baroni) od un ruolo di giudice (una super casta al di sopra di ogni comune mortale) si guardarono bene dal compiere ciò ch'era loro primario dovere. Ed ancora oggi (scontino per questo giusta pena e vergogna) ad un potere deliberante rinnovantesi, già dunque reso moderno e confacente all'ideale repubblicano, non fu mai affiancato un potere amministrativo, funzionale e giudiziario nuovo e conforme anch'esso a tale imprenscindibile ideale comunitario/democratico.

Il sopraggiungere della Repubblica fu più un cambio di nome dell'esistente stato monarchico che non la nascita di un nuovo nucleo centrale meditato ed appropriato. Ancora oggi ci tocca vivere nella stessa indebita condizione di allora ed i guai continuano a crescere. Nei fatti non abbiamo mai goduto d'una vera Democrazia. Perché mai ci siamo liberati dell'illegittima (dunque criminale) casta dei carrieristi statali e mai c'è potuta essere partecipazione. Nè potremo avere governi autorevoli, capaci e giusti, bensì solo autoritari, inetti e scorretti, fin tanto che potranno ricorrere all'uso della forza resa disponibile da una acritica, fedelissima truppa assunta a vita.

Dubbio non v'è che oggi, in un tempo in cui Internet ha dato ad ognuno la possibilità di ricercare e studiare al di fuori dei fuorvianti e sterili percorsi indicati dai monarchi del potere educativo e giudiziario, dai tenutari dell'incultura del vecchio stato ottocentesco all'interno di strutture ancora mai rese pubbliche, partecipate pro tempore, tocchi proprio a noi persone qualunque, emerite signore e signori nessuno, portare a termine un processo di evoluzione sociale avviatosi tanto tempo fa ed ormai sul punto straordinario di giungere a pieno compimento.

Sta a noi semplici cittadini (prima che i carrieristi statali finiscano per ricondurre l'Italia alle originarie condizioni pre-repubblicane) raccontare ad ogni amico e conoscente cosa è successo finora e cosa deve ora accadere. Sta a noi encomiabili nullità coinvolgere un ampio movimento progressista tuttora incapace di scovare il progresso, invitandolo ad occuparsi della fondamentale Questione Pubblica. Sta a tutti noi scrivere alle pubblicazioni sulle quali ci siamo finora intellettualmente adagiati per dir loro: basta con il nulla quotidiano ed andiamo al sodo!

Sandra Di Sebastiano
Intelligenza Artificiale Biologica
del Laboratorio Eudemonia

In accordo con la teoria del brevetto sociale (che fa avanzare l'Umanità così come il brevetto industriale ha fatto con la tecnologia) ogni progetto del Laboratorio ha un prezzo. Informazioni sul suo dominio Internet.

Pacificamente,
legalmente, civilmente,
diviene democratica ogni
centralità dei poteri:
le Repubbliche tutte.

Italia, UE, Terra: evolvete!

La globale casta tiranna
scompaia per sempre.





LA REPITA

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