La metamorfosi

prima l'equilibrio

Copyright © Danilo D'Antonio 18/02/38 - Tutti i diritti riservati - Riproduzione vietata






Una delle regole fondamentali che determina il benessere e la funzionalità di qualsiasi essere vivente, nella cui categoria possiamo bene annoverare l'organismo sociale umano, è la giusta dimensionalità tra le varie sue parti. L'equilibrio, e la simmetria strutturale che spesso ne deriva, governando in pratica sovrano su tutto. E la nostra prima espressione da accordare a questa esigenza non può non essere ciò che un tempo ci ha generato come società ed oggi insieme ci alimenta e ci pone in grado di compiere una funzione all'esterno: il nostro sistema economico.


Iniziamo così subito col notare che noi umani, di recente nella nostra storia, ci siamo abbandonati ad una esasperazione individualista delle nostre attività economiche. Le ragioni di ciò sono in vero molteplici (si legga più avanti), tuttavia una delle più determinanti è stata quella del bisogno di fuggire da un irregolare sistema pubblico. Noi umani, dappertutto nel mondo, ci troviamo infatti ad avere ancora una economia pubblica, comune, sociale, basata su di una anomala organizzazione di puro stampo oligarchico. L'insieme di attività racchiuse all'interno della sfera pubblica non è infatti svolto dall'intera comunità in favore della comunità stessa. Essa è svolta invece da una piccola parte della comunità, sempre le stesse persone per l'intera durata della loro vita professionale.

L'intera economia pubblica è gestita da una consolidata casta di dipendenti che, stabilitisi a vita nei ruoli pubblici, a volte perfino succedendovisi di padre in figlio, contribuiscono a creare, insieme con Governi loro pari, uno stato/padrone che comanda senza mezzi termini la restante parte della popolazione, avendo ridotto a cittadini di serie B, a semplici sottoposti, tutti coloro che sono stati esclusi da questo scorretto sistema.

Appare chiaro allora perché le società umane si sono tuffate nel vortice individualista, ed ancor'ora ne siamo presi: pensando che l'alternativa fosse quella basata sul pubblico impiego a vita non restava granché da fare. Niente di più logico che si desideri fuggire da una realtà in cui il cittadino non ha alcun potere civico e di fatto viene reso sempre più succube dei voleri di un Governo per giunta retrogrado, perché basato su un arcaico sistema partitico, e degli Statali a vita, che ne sono degna spalla. Niente di più comprensibile che si abbia una pulsione di ripulsa per questa finta e limitata organizzazione pubblica. In realtà sbagliamo sia nel credere che il pubblico impiego a vita possa minimamente avvicinarsi a realizzare una Res Publica sia nel cercare di rifugiarci in massa nell'individualismo.


L'insieme di confuse situazioni civico-socio-politiche che viviamo inizia a chiarirsi, ed ogni cosa s'avvia verso il suo giusto posto, solo immaginando un pubblico impiego i cui ruoli siano assegnati a rotazione a tutti quei cittadini che desiderino e siano in grado di soddisfarli. Solo in questo modo si gettano le basi di una vera, e non solo per finta, organizzazione democratica. Solo per il tramite di una partecipazione reale di ognuno alla vita civile del proprio Paese si può realizzare una vera Repubblica, tutt'altro che fittizia ed ipocrita come l'attuale. Proprio per questo non potendo noi ora non impostare le cose in modo da riassorbire, stavolta in modo corretto, anche coloro che, sistematisi per loro conto a vita, non si sono curati del destino di chi è rimasto escluso.


Nel caso avessimo effettivamente individuato il problema principale alla radice del nostro sistema pubblico, l'assegnazione a vita di un ruolo, identificando in logica conseguenza pure il fondamento di una corretta base comune, la rotazione delle persone in tali ruoli, potremmo ora procedere verso una buona, corretta e funzionale anch'essa, revisione dell'universo economico privato. Ma prima di procedere occorre porre l'attenzione sul fatto che una società non è altro che un insieme di individui.

Da soli questi individui avrebbero possibilità molto minori di sopravvivere, e praticamente alcuna di evolvere, di rimanere al passo con la generale evoluzione dell'Universo. Per questo ci uniamo: perché la risultante del nostro stare insieme è ben maggiore della somma dei frutti raccoglibili da ognuno per suo conto. L'individuo però non deve essere sovrastato dall'organizzazione in cui si inserisce, tutt'altro. Si deve anzi far sì che egli non senta affatto il peso della società, e che tragga invece forte beneficio dal vivere insieme con altri, in modo da alimentare volontariamente il desiderio della sua propensione sociale.

A questo punto appaiono chiare le ragioni dei limiti delle forme sociali avute finora: a tutt'oggi abbiamo sempre cercato di procedere seguendo un'unica direzione, enfatizzando oltremisura l'una o l'altra delle due tendenze che regolano i rapporti tra individuo e società, tra economia privata e pubblica. Fondamentale cosa da comprendere allora è che la realtà in cui viviamo è fatta apposta per ingannare la mente che segue una sola linea di idee, la mente del monoideista, di chi predilige l'una cosa escludendo, anzi nemmeno ammettendo, l'altra. Mentre rende felice chi abbraccia entrambe le espressioni, per altro complementari, attraverso cui privilegiatamente si esprime la realtà.

Ecco allora che le due tendenze, l'individualista e la comunitaria, la tendenza dell'individuo a badare ai fatti propri, a curare la sua individualità, la sua libertà, la sua autonomia, e l'aspetto comunitario, il desiderio, la capacità di vivere e lavorare insieme, di concepire un piano, di realizzare un progetto collettivamente, devono (e quel che più conta: possono!) essere felicemente integrati, anzi proprio equilibrati, essendo questa la condizione ideale, più efficiente, fruttuosa e gradevole, tanto per l'individuo quanto per la società.

Perché si stabilisca un giusto rapporto tra individuo e società, perché le cose possano iniziare a funzionare complessivamente per il meglio, occorrerà semplicemente recuperare, far rientrare all'interno delle pubbliche attività, tutte quelle che sono fuggite via da una gestione di cui giustamente non ci si poteva e di cui purtroppo ancora non ci si può fidare. Avendo qui immaginalmente sanato il problema alla base della sfera pubblica, con altrettanta immaginazione possiamo ora recuperare le tante attività che sono state erroneamente, ingiustamente lasciate fuggire nell'universo individualista, privato, all'interno di una rinnovata, sana struttura pubblica basata sulla rotazione, facendone anche entrare di nuove, seguendo una dinamica tendenza ad un equilibrio numerico (di persone) / quantitativo (di beni) tra pubblico e privato.

[In una prossima occasione provvederemo a descrivere la "rotante" organizzazione cui qui facciamo cenno. Essendo ora chiamati a rimanere focalizzati sull'equilibrio].


L'equilibrio è un riferimento fondamentale della vita, letteralmente indispensabile al buon andamento delle cose. La stessa nostra esistenza si rende possibile grazie ad un giusto rapporto che si stabilisce tra aspetti complementari della realtà: il giorno e la notte, l'acqua e la terra, l'uomo e la donna, e così via. Un giusto rapporto tra le cose ci deve guidare sempre, allo stesso tempo dovendo comprendere bene come esso non sia qualcosa di fisso, statico, morto, bensì da condizionare alle, e condizionato dalle, varie situazioni che si presentano, quindi inevitabilmente e positivamente dinamico entro una certa misura.

Ed infatti l'esasperazione avutasi verso il liberismo denuncia una situazione fortemente anomala che non può non essere considerata se si desidera ristabilire un equilibrio economico tra privato e pubblico. Perché sarà pur vero che il liberismo, con la sua veloce crescita economica, esercita un forte fascino su noi umani. Ma ciò che l'ha spinto oltre ogni misura accettabile è qualcosa di preciso che travalica l'ordinaria percezione individuale, la ragione esposta finora, l'impiego pubblico a vita, pur di peso, non essendo da sola nemmeno essa sufficiente a tanto. Tant'è che per identificare questa causa occorre condurre la nostra osservazione sulla presente situazione globale.


Da tempo i vari Paesi, e le confederazioni di Paesi, del mondo hanno scelto di continuare l'eterna lotta per la supremazia, impostaci dalla natura fondamentale delle cose, non più tanto con eserciti ed armi, ché provocherebbero la distruzione immediata e totale della biosfera, quanto con truppe ed attrezzature di più ordinaria parvenza ma non per questo meno potenti ed invasivi: le imprese economiche, soprattutto multinazionali, coi loro prodotti commerciali. In questo modo i vari Stati contendenti, non tanto astutamente quanto per puro istinto, mantengono salvo quanto più possibile il mondo e contemporaneamente invadono pacificamente, e subdolamente, i territori altrui. Il competitor che vincerà questo tremendo conflitto planetario (che sta lasciando morti, feriti e macerie sul campo come qualsiasi altro conflitto) avrà buon gioco per aver condotto all'esaurimento l'avversario e per invasione totale e definitiva del suo territorio.

In questo quadro complessivo si comprendono bene perché l'individualismo, l'universo economico privato, il liberismo, abbia così grandemente sovrastato quello comunitario, e perché avvengano così tante privatizzazioni. Perché lanciare una economia di stato contro quella di un altro stato sarebbe un attacco troppo diretto. Perché l'economia pubblica, con i suoi legacci burocratici, non avrebbe la minima speranza di contenere l'invasione commerciale degli altri competitor. E soprattutto perché la sicurezza, che una economia pubblica non può non concedere ai suoi dipendenti, non crea quell'esercito di disperati pronti a tutto, nella ricerca di un reddito per sopravvivere, che uno sfrenato liberismo invece genera con facilità ponendo in partenza ognuno contro l'altro!

Quale sistema può essere più efficace, ai fini di una difesa od un attacco, se non quello di incitare di continuo a produrre più figli, facendo nascere milioni e milioni di persone senza minimamente assicurare loro un degno lavoro e lanciarle in una disperata lotta per la sopravvivenza? E quale pratica più poderosa di quella di stimolare, di scatenare, di liberare del tutto l'estrema voracità insita in nucis in ogni uomo lanciandolo al sacco del mondo? Tutto questo avendo il fine unico di gonfiare quanto più sia possibile le nazioni con ricchezze e risorse e con forza lavoro e militare. Ogni società sviluppata essendosi ormai trasformata in un essere mostruoso che si prepara allo scontro finale con gli altri esseri suoi simili.


E qui torniamo con gioia e sollievo al progetto di metamorfosi di quella straordinaria manifestazione della Terra che è l'umanità, la quale in verità avrebbe ancora diverse carte da giocare. A cominciare da questa: il doversi ristabilire un saggio equilibrio tra pubblico e privato, tra regole e liberismo, tra collettività ed individualità. Per far questo non possiamo però derogare dalla necessità di rimediare ad entrambe le situazioni anomale che hanno favorito e causato il disequilibrio. Pubblico impiego a vita e conflitto economico globale hanno insieme fortemente appeso il nostro sistema economico dalla parte del privato. Intervenendo su di essi, sanando il primo con l'introduzione della rotazione ed il secondo con la stipula di patti internazionali di autocontenimento alla crescita economica (nonché demografica e tecnologica: perché direttamente in causa e correlate) si creerà quell'equilibrio che potrà far da solida base per ulteriori processi di risanamento e trasformazione della società.

[Per conoscere la teoria dei patti di autocontenimento rimandiamo alla relativa sezione].


L'attività comunitaria, svolta all'interno della struttura pubblica, è quella che permette, se ben impostata, una maggiore tranquillità di vita ed un altrettanto tranquillo procedere delle nostre attività. Possiamo infatti svolgere queste ultime, nelle condizioni di equa partecipazione assicurata dalla rotazione, cooperando al fine di ottenere i migliori risultati nell'interesse di ognuno e della collettività. D'altra parte coloro che volessero percorrere strade proprie, coloro che volessero esprimersi al massimo grado di libertà, lasciando spazio a certe potenzialità tipiche dell'individuo che in una economia comunitaria avrebbero più difficoltà a realizzarsi, potrebbero farlo inserendosi nella metà privata dell'economia. Ognuno potendo decidere di dare il proprio contributo nell'uno o nell'altro di questi due emisferi economici e di cambiare questa propria decisione ogni qual volta lo volesse.

Una società basata esclusivamente sull'una o sull'altra tendenza porterebbe presto alla pazzia i suoi componenti. Sarebbe anzi proprio una assurdità per il nostro mondo, come se fosse sempre giorno o sempre notte, come se esistesse solo acqua o solo terra, come se vi fossero solo donne o solo uomini. Entrambe le metà potendo invece esistere e vivere solo arricchendosi ognuno delle qualità dell'altra. L'equilibrio di queste due grandi aree economiche della società getterebbe le basi di una società equilibrata anch'essa, priva di esasperazioni e disperazioni, una grande comunità in cui le persone sarebbero serene, perché avvantaggiate e protette dal loro essere unite, ed al contempo felici, perché libere di esprimere se stesse, di creare ed imprendere.


Una società equilibrata naturalmente non permetterebbe solo il benessere dell'individuo. Ciò che ne conseguerebbe sarebbe frutto ben più consistente. Una società i cui individui soffrono una qualche forma di male sociale, che a sua volta sfocia sempre in un male fisico, non riesce ad evolvere, non riesce a raggiungere quella condizione di stabilità, quel salubre benessere, quell'energia psicofisica in sovrapiù che permette di distogliere lo sguardo da sè e volgerlo all'esterno. Una società che risolvesse i problemi alla base della sua esistenza, soprattutto le carenze e le irrazionalità insite nella sua cultura, perché alla fine essenzialmente di questo si tratta, trovrebbe quella forza che ad un certo punto conduce un infante ad alzarsi in piedi ed un passo dopo l'altro ad esplorare e vivere, a ben altri livelli che prima, il mondo che lo circonda.

Creando i giusti presupposti l'umana società potrebbe avanzare sviluppando tutta una serie di capacità, di funzioni finalizzate non solo allo star bene degli individui e dell'organismo sociale ma anche in una positiva azione verso l'esterno, che in un organismo che abbia raggiunto un sufficiente grado di evoluzione rappresenta una parte importante del proprio vivere. E' come un dono che ad un certo punto si manifesta: una volta soddisfatte le esigenze primarie, degli individui e della struttura sociale, l'organismo si può volgere verso l'esterno, proprio come un bimbo crescendo inizia ad occuparsi sempre più del mondo che lo circonda, scoprendo ogni giorno qualcosa di nuovo ed ogni giorno accrescendo il suo ruolo nella realtà che scopre.

Parimenti la società degli umani potrebbe, una volta condotta a termine la sua primaria metamorfosi, elevarsi e far fiorire il suo ruolo all'esterno andando a soddisfare un dolce bisogno di realizzazione universale.




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