Essenzialmente esistono due tipi di società.
L'una ha la sua organizzazione centrale, lo Stato, posseduto da una minoranza che fa da sbarramento alla restante più gran parte della popolazione, così che chi detiene il potere decisionale abbia campo libero da ostacoli. L'altra ha lo Stato partecipato a tempo determinato da quanti desiderano dare un proprio contributo, così che chi detiene il potere decisionale abbia una percezione completa dell'insieme.
Il primo tipo di società ha il tradizionale Stato tirannico: questo, essendo i suoi vari poteri proprietà del sovrano e suoi fidi e mai ritornano al popolo succube, può tranquillamente permettersi di essere dispotico quanto vuole.
Il secondo tipo di società gode di un evoluto Stato democratico: questo, essendo i suoi vari poteri appartenenti alla collettività ed a questa regolarmente ritornano, deve impegnarsi a percorrere una via approvata, condivisa da tutti.
Chiaramente vi sono società in varia misura intermedie tra questi due opposti riferimenti. Le società oggi sedicenti moderne, ad esempio, mantengono tutti i poteri dello Stato (ad eccezione del potere legislativo, il quale viene regolarmente rimesso in discussione) nelle mani di una casta di assunti a vita. Questa forma impura di Stato, quasi completamente tirannico, riesce a beneficiare di una democrazia minima ché rimane chiusa nell'apice legislativo. Questo, essendo protetto da una minoranza fidelizzata col posto fisso e la promessa di far carriera, può permettersi ingerenze di vario tipo nella vita delle persone e nella conduzione tutta della società.
Come si è giunti ad una forma di Stato così limitatamente democratico e come si è poi rimasti bloccati in esso?
Quando le divinità avallarono che sui territori, aggrediti da popoli cui erano state promesse grandi ricompense e conquistati da essi con l'uso della forza, regnassero gli imperatori, i sovrani, i tiranni, costoro ebbero il possesso di tutto ciò che si trovava all'interno dei loro confini. Millennio dopo millennio, secolo dopo secolo, decennio dopo decennio, le elargizioni alle aristocrazie assottigliarono le proprietà dei prediletti dagli dei. I monarchi dovettero allora elargire anche parte del loro potere di decidere il passato, presente e futuro della loro società. Si aprirono così i primi parlamenti: dapprima composti da prescelti per stirpe e poi, pian piano, anche l'aristocrazia essendosi ormai indebolita, da membri, rinnovati su base periodica ed elettiva, dei nuovi raggruppamenti comparsi.
In effetti la democratizzazione della politica, cioé del potere decisionale, legislativo, tramite il periodico rinnovo di ogni suo componente, è processo avvenuto ancor prima che cadessero imperi e monarchie. E quando in molti Paesi, dopo una fase cruenta della loro esistenza, i popoli scelsero di abbandonare la forma tirannica per ricominciare una nuova vita, in quella che avrebbe dovuto essere una diversa, evoluta, democratica configurazione dello Stato: la Repubblica, di fatto tutto rimase esattamente come prima, le rivoluzioni non avendo fatto altro che cacciar via coloro che si erano impossessati del potere decisionale.
Ogni altro potere dello Stato rimase invece nelle mani di una casta di assunti a vita.
Le aristocrazie, abili, furbe, intelligenti, coi primi parlamenti sottrassero potere ai sovrani. I popoli, non solo ieri ma anche oggi, non si palesano altrettanto bravi. Essi son anzi tardi nel capire la realtà ed invece di esigere, come loro compete, un accesso ordinato agli innumerevoli luoghi di potere dello Stato, tramite sistemi di impiego pubblico inclusivi e non più esclusivi, pretendono di ascendere direttamente al potere legislativo, mettendo a rischio interi Paesi con la loro impreparazione. Certo i popoli continuano a subire ovunque il massiccio inculcamento dei burocrati, vogliosi di mantenere il posto fisso e proseguire la carriera. Ma, con le immense risorse culturali di cui dispongono oggi, le persone potrebbero benissimo fare un passo avanti: interpretando correttamente il passato per ben guidare il futuro.
Oggi infatti confluiscono interessi e compagini politiche anche molto diverse: nel capire che, senza liberare i Paesi e le Unioni di Paesi dai carrieristi pubblici, dai burocrati, dagli assunti a vita nei pubblici impieghi, detentori d'ogni potere dello Stato ad eccezione (quasi) fatta per i poteri legislativi, tutto ciò ch'è stato conquistato nel corso di decenni può scomparire all'improvviso. Forti e deboli, ricchi e poveri, abbiamo tutti interesse a far sì che le rivendicazioni popolari, i populismi, si dirigano non direttamente verso i poteri legislativi bensì dapprima verso gli altri luoghi di potere dello Stato: rendendoli accessibili tramite moderni sistemi di assunzione che permettano un regolare ricambio. Solo capendo dove s'è bloccato il progresso si eviterà di cadere e si potrà finalmente avanzare.
Ormai gli schieramenti sono ben delineati. Da una parte ci sono i padroni dello Stato: burocrati, carrieristi pubblici, assunti a vita negli impieghi/poteri pubblici, i quali permangono in carica anche per mezzo secolo, tenendo testa a più generazioni di politici. Dall'altra parte c'è il resto del mondo. Chiunque siamo, quale che sia la nostra posizione sociale, la nostra povertà o ricchezza, ambulanti o grossisti, artigiani od industriali, contadini o latifondisti, nullatenenti o miliardari, abbiamo tutti un unico grande scopo da perseguire. Se desideriamo vivere un domani degno d'essere vissuto, dobbiamo rendere democratici gli Stati. Gli assunti a vita nei pubblici impieghi vanno ovunque rimossi ed al loro posto vanno assunte, con mandato rigorosamente temporaneo, altre persone con pari diritti e competenze.
Sia per evitare nuove e regressive rivoluzioni che per rendere dinamiche, evolutive, fluide, le nostre società, per permetter loro di scorrere senza intoppi o strappi attraverso il sempre misterioso territorio della vita, uno ed un solo obiettivo dobbiamo prefiggerci: ripetere noi, oggi, quello che altri fecero in passato. Un tempo fu reso democratico il Parlamento. Oggi dobbiamo rendere democratico lo Stato. Non farlo significherebbe che l'evoluzione umana ha terminato la sua corsa.